“1514 Le nuvole non si fermano”. Il 13 ottobre a Cagliari

Posted on 7 Ott 2012


Amare tanto la propria terra da rinunciare ad essa, sposare una causa completamente, tanto da scegliere l’esilio pur di non vivere un compromesso dove non vengono riconosciuti i propri diritti e dignità. Il documentario del 2010 della regista Carlotta Piccinini, ci racconta di questa scelta, della storia del popolo e della sua lotta per l’autodeterminazione, per il loro diritto ad esistere come popolo e come Stato riconosciuto a livello internazionale. È una storia importante, che è importante raccontare e ricordare, alla quale non viene dato spazio mediatico se non in occasione di episodi violenti. Non trattandosi della storia di una guerra combattuta con bombe e fucili (almeno dal 1991) trova, infatti, pochi spazi dove essere raccontata. Il documentario 1514 – Le nuvole non si fermano è uno dei pochi palcoscenici dove le voci dei Sahrawi trovano spazio e qualcuno che le registri per non farle dimenticare, per non perderle, per dar loro eco e mostrare il loro orgoglio e forza.

Il titolo ci suggerisce due degli elementi fondamentali di questa storia: il popolo sahrawi e la dimensione politica e di diritto internazionale della sua lotta. “1514”, infatti, fa riferimento alla risoluzione delle Nazioni Unite 1514/60, sull’autodeterminazione dei popoli e dei paesi sottoposti a dominio coloniale. “Le nuvole non si fermano”, invece, è un riferimento a come vengono chiamati i Sahrawi, i figli delle nuvole, perché nomadi, e in quanto tali hanno sempre seguito le nuvole alla ricerca dell’acqua, e la loro continua lotta per ritrovare la libertà.

Si tratta di un documentario che racconta la loro storia, la loro strategia, la loro organizzazione, la loro nazione, il loro non-stato, usando la Sahara Marathon come ‘escamotage narrativo’, usando le parole della regista Carlotta Piccinini, per raccontare i Sahrawi ma anche quel conflitto che ha portato alla situazione attuale. La maratona è, infatti, in questo caso una metafora, una “rappresentazione di un’intensa e faticosa esperienza di consapevolezza di quei sacrifici e delle difficoltà quotidiane legate alla vita nei campi profughi”. Si parla di storia, di politica e diritto internazionale, di guerra, di sopravvivenza, di aiuti umanitari ma soprattutto del loro stato non stato, della loro nazione (una delle poche in Africa) e cultura, dei loro colori, musica, rumori, facce, espressione di quella vita quotidiana fatta di emarginazione politica internazionale ma con una quasi paradossale e forte integrazione interna, composta da simboli e orgoglio, speranza e futuro.

Il documentario ci mostra la Repubblica Democratica Araba Sahrawi – RASD, il suo passato e il suo presente, e la sua lotta per vedersi riconosciuto un futuro. Ci racconta la pazienza e la dignità del suo popolo che aspetta dagli anni Novanta che venga organizzato quel referendum sull’autodeterminazione che è stato promesso dalla comunità internazionale ma mai realizzato. È la storia del muro lungo 2700 km che ‘protegge’ la zona economicamente rilevante della regione dalle rivendicazioni del Fronte Polisario, costruito negli anni Ottanta dal Marocco, potenza occupante e sfruttatrice delle risorse della regione. Tutto questo però ci viene mostrato facendoci ascoltare le voci di chi ha scelto l’esilio pur di difendere il proprio diritto d’appartenenza ad un popolo, il proprio diritto ad essere cittadino del proprio stato e non provincia di uno stato vicino. Gli autori ci presentano uno Stato che non esiste ufficialmente, sviluppato in esilio nel deserto algerino, uno stato partecipativo dove i cittadini di fatto, ma non di diritto, partecipano attivamente alla sua gestione, ma che continua a non esistere ufficialmente, che vive solo grazie alle Nazioni Unite, ai suoi aiuti, al lavoro delle organizzazioni non governative ma soprattutto grazie alla tenacia e dignità della sua gente che ha deciso di viverlo anche se non riconosciuto. Tutti devono essere utili alla società, allo Stato, alla sua causa e questa sembra la loro forza. Tutti sono parte della storia e della lotta, e hanno un ruolo centrale nella gestione della cosa pubblica.

Avrebbero forse potuto vivere sulla loro terra, occupata dal Marocco, ma certo più ospitale del deserto algerino, ma hanno scelto, si sono presi la responsabilità della propria lotta e del proprio popolo, scegliendo l’esilio e la possibile morte in esilio, senza combattere militarmente ma compiendo un gesto politico e di partecipazione (non armata) alla lotta. Come dice uno dei protagonisti del documentario “io preferisco morire qua, ed essere seppellito in questo deserto, dove non c’è niente, piuttosto che tornare nella mia terra occupata”.

“1514 Le nuvole non si fermano” sarà proiettato il 13 ottobre a Cagliari all’interno di incontri d’AFFRICA.

ISABELLA SOI, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna
 
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