Donne da Nobel: Ellen Johnson Sirleaf, la lady di ferro africana

Posted on 17 Ott 2011


Come anticipato nei giorni scorsi, oggi AFFRICA vi offre un approfondimento sulla recente vincitrice del Nobel per la Pace Ellen Johnson Sirleaf, nota in Liberia come la lady di ferro.

Ellen Johnson (Sirleaf è il cognome dell’ex marito) nasce a Monrovia, capitale della Liberia, nel 1938. All’epoca praticamente tutta l’Africa era sotto il dominio delle potenze coloniali, tranne appunto la Liberia, che tecnicamente non fu mai colonizzata. La Liberia infatti fu costituita nel 1822 dall’American Colonisation Society, una società filantropica statunitense, al fine di favorire il reinsediamento degli schiavi liberati in Africa. Nel 1847 divenne una Repubblica indipendente, e il potere politico fu assunto e saldamente mantenuto sin quasi ai giorni nostri dal True Whig Party, il partito della minoranza americo-liberiana (gli schiavi liberati), a scapito della popolazione indigena. Una specie di colonizzazione interna, insomma. La famiglia di Ellen Johnson, pur non essendo di ascendenza americo-liberiana, era piuttosto vicina alla minoranza al potere, tanto che suo padre fu il primo “indigeno” a sedere nell’assemblea nazionale.

A 17 anni, la futura presidente e premio Nobel sposa James Sirleaf e si trasferisce negli Stati Uniti, dove consegue una laurea in Economia e poi un Master in Public Administration ad Harvard. Rientrata in Liberia, nel 1972 diventa assistente del Ministro delle Finanze nel governo True Whig di William Tolbert, anche se lascia l’incarico l’anno successivo. Diventa lei stessa Ministro delle Finanze nel 1979, sino al colpo di stato guidato da Samuel Doe nell’aprile 1980. In quell’occasione, la Sirleaf è uno dei quattro membri del governo la cui vita viene risparmiata dai golpisti. Pochi mesi dopo, lascia il paese e torna negli Stati Uniti, dove lavora per la Banca Mondiale; l’anno successivo diventerà vice-presidente del ramo africano di Citibank. Rientrata in Liberia per partecipare alle elezioni del 1985, viene arrestata per aver criticato il regime di Doe, e sarà graziata solo grazie alle proteste della comunità internazionale. Le elezioni sono vinte da Doe, però la Sirleaf ottiene un seggio in Senato, che rifiuta di occupare per protesta contro i brogli. Nel 1986 fugge nuovamente negli Stati Uniti, e negli anni seguenti continua la sua carriera nelle istituzioni internazionali, arrivando ad occupare la carica di Direttore dell’Ufficio Regionale del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).

Nel frattempo, la Liberia era precipitata nella guerra civile. Nel 1989 Charles Taylor, alla guida di un movimento (National Patriotic Front of Liberia – NPFL) armato con basi nella vicina Costa d’Avorio, invade la Liberia con l’obiettivo di rovesciare il regime di Doe. Inizialmente, Taylor ottiene anche sostegno finanziario da parte della Sirleaf, cosa la Premio Nobel ha ammesso solo di recente. Nel giro di pochi mesi, il NPFL si spacca in due, e alla fine è la fazione rivale – guidata da Prince Johnson, ancora oggi sulla scena politica –  quella che riesce a occupare Monrovia e poi a torturare a morte Doe. In breve tempo, la Liberia diventa teatro di uno scontro tra diverse fazioni, il cui numero aumenta sempre più.

Dopo un accordo di pace, firmato nel 1996, e un periodo di transizione durante il quale la presidenza della repubblica è affidata ad una donna, Ruth Sando Perry, si arriva finalmente a delle elezioni: i candidati principali sono Charles Taylor e la nostra Ellen Johnson Sirleaf. Stravince il signore della guerra, con i due terzi delle preferenze: sembra che una delle ragioni principali del suo successo sia stata la diffusa convinzione che, in caso di sconfitta elettorale, Taylor avrebbe ripreso le armi.

La pace, comunque, non dura molto. Anche da presidente, Taylor usa i proventi del traffico illecito di diamanti – i famosi blood diamonds e di legname per armare fazioni ribelli nella vicina Sierra Leone. L’instabilità regionale si ripercuote nella stessa Liberia, teatro di insurrezioni armate, e ha inizio la seconda guerra civile liberiana. La Liberia diventa una specie di “paria” nella comunità internazionale; il presidente Taylor viene ufficialmente accusato di crimini contro l’umanità dalla Corte Speciale per la Sierra Leone. Nel 2003, finalmente, il presidente si dimette e ripara in Nigeria.   Si arriva così alle elezioni del 2005, considerate le più libere della storia del paese. I principali sfidanti sono Ellen Johnson Sirleaf e il calciatore George Weah, che al primo turno ottiene la maggioranza relativa dei voti. Tuttavia, al ballottaggio, è la Sirleaf che ha la meglio, diventando come ben sappiamo presidente, prima e sola donna africana eletta capo di Stato. Sottolineiamo eletta perché altre prima di lei, poche per la verità, avevano ricoperto un ruolo analogo, in periodi di transizione, pur senza essere passate per il voto popolare[1].

Durante questi ultimi cinque anni, effettivamente la Liberia ha goduto di un periodo di pace, il primo negli ultimi decenni, e di sviluppo economico. Ciononostante, rimane uno dei paesi più poveri al mondo, caratterizzato per di più anche da bassissimi tassi di istruzione, tra gli altri problemi. Inoltre, come sottolineano gli avversari politici della Sirleaf, l’amministrazione statale è estremamente corrotta.

Pochi giorni fa, l’11 ottobre, si sono tenute nuovamente le elezioni, che vedono la Sirleaf sfidata da numerosi aspiranti presidenti, tra i quali in particolare l’ex Ministro della Giustizia Winston Tubman, che ha indicato come proprio vice-presidente George Weah, e Prince Johnson, il signore della guerra che fece trucidare Samuel Doe. La scelta di assegnare il Nobel per la pace alla presidente in carica a meno di una settimana dalla scadenza elettorale è parsa a molti, e in particolare ai suoi oppositori, inopportuna. Tra le varie accuse che le vengono rivolte, oltre a quelle legate alle scarse performances del paese, dove la stragrande maggioranza della popolazione sarebbe disoccupata, vi sono anche quella di aver tradito l’ex presidente Taylor, al quale avrebbe promesso immunità dai tribunali internazionali, per poi consegnarlo all’Aja una volta eletta.

Ad ogni modo, stando almeno ai risultati provvisori, la Sirleaf sarebbe sì in vantaggio, ma non abbastanza da garantirsi una vittoria al primo turno. Se venisse confermato il dato del 44%, la presidente in carica dovrebbe andare al ballottaggio con Tubman (il cui risultato dovrebbe attestarsi attorno al 26%) l’11 di novembre. E, come l’esperienza di cinque anni fa insegna, al secondo turno il risultato potrebbe pure essere ribaltato. Affrica.org vi terrà aggiornati.

ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna


[1] Nel 1984, Carmen Pereira ricoprì per per tre giorni la carica di presidente della Guinea Bissau; nel 1993-1994 Sylvie Kinigi fu per alcuni mesi, presidente di fatto del Burundi, oltre che primo ministro; infine, Ruth Sando Perry, fu nominata presidente ad interim proprio della Liberia tra il 1996 il 1997. Più di recente, nel 2009, Rose Francine Rogombé ha esercitato per alcuni mesi le funzioni presidente del Gabon, in seguito alla morte di Omar Bongo.