Gli Obiettivi del Millennio e l’istruzione in Africa: una sfida possibile?

Posted on 20 Lug 2010


A soltanto cinque anni dal termine fissato per il raggiungimento degli otto obiettivi stabiliti dalle Nazioni Unite nel 2000[1], noti come Obiettivi del Millennio (ODM), gran parte dei paesi dell’Africa subsahariana continua a presentare bassi indici di sviluppo umano. Nonostante i recenti progressi verificatisi, il quadro generale della situazione socio-politica africana resta una grande sfida. Secondo l’interessante analisi dell’economista zambiana Dambisa Moyo, presente nella recente opera La carità che uccide, pubblicata nel 2009 dalla casa editrice Rizzoli, il quadro generale del continente è piuttosto preoccupante. Per quanto riguarda i più importanti indici di sviluppo umano, l’autrice afferma:

“Con un reddito medio pro capite di circa un dollaro al giorno, l’Africa subsahariana rimane la regione più povera del mondo. Oggi il reddito reale pro capite è più basso che negli anni Settanta del XX secolo, e questo vuol dire che molti paesi sono poveri almeno quanto lo erano quarant’anni fa (…). L’aspettativa di vita, poi, non è migliorata… L’Africa è l’unico continente in cui sia inferiore a sessant’anni: attualmente si aggira attorno ai cinquanta anni (…). La diminuzione dell’aspettativa di vita è dovuta soprattutto all’insorgere della pandemia di AIDS: nel continente africano un bambino su sette muore prima dei cinque anni. Queste statistiche sono particolarmente preoccupanti in quanto circa il 50 per cento della popolazione africana è giovane, per la precisione sotto i quindici anni. Nella maggior parte dei paesi africani l’alfabetizzazione, gli indicatori  sanitari (malaria, malattie portate dall’acqua quali bilarziosi e colera) e gli squilibri di reddito restano fenomeni preoccupanti (…)” (Moyo, 2009: 30-31)

Dal punto di vista politico, la situazione non appare meno complessa. Moyo riferisce a riguardo:

“Circa il cinquanta per cento del continente è retto da governi non democratici (…). L’Africa ospita ancora almeno undici regimi del tutto autocratici (Eritrea, Gabon, Guinea Equatoriale, Mauritania, Repubblica Popolare del Congo, Ruanda, Swaziland, Uganda e Zimbabwe). Tre capi di stato (Dos Santos dell’Angola, Obiang della Guinea Equatoriale e Bongo del Gabon), sono in carica dagli anni Settanta e altri cinque presidenti detengono il potere dagli anni Ottanta (Compaoré del Burkina Faso, Byia del Camerun, Conté della Guinea, Museveni dell’Uganda e Mugabe dello Zimbabwe). Dal 1996 undici paesi sono stati coinvolti in guerre civili (Angola, Burundi, Ciad, Guinea Bissau, Liberia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Popolare del Congo, Ruanda, Sierra Leone, Sudan e Uganda) e fra i primi dieci paesi meno pacifici del mondo figurano quattro stati africani (nell’ordine: Repubblica Centroafricana, Ciad, Sudan e Somalia), una concentrazione più alta che in qualsiasi altro continente” (Moyo, 2009: 31-32)

Il rapporto annuale del Segretario-Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, relativo al 2010, intitolato Keeping the promise osserva che, nonostante alcune delle “promesse” siano state realizzate, restano ancora molte questioni negative su cui intervenire. In generale, in tutto il continente l’accesso all’istruzione primaria è aumentato notevolmente. La politica “dell’istruzione per tutti” messa in pratica nei paesi dell’Africa subsahariana all’inizio del nuovo millennio ha favorito l’ingresso di milioni di bambini (soprattutto delle regioni più povere) nelle scuole. Negli ultimi quindici anni, diversi paesi subsahariani, tra cui il Burundi, la Repubblica Democratica del Congo, il Ghana, l’Etiopia, il Malawi e il Mozambico, hanno registrato un’importante crescita nel numero di iscrizione di alunni  nelle scuole dell’infanzia, grazie soprattutto alla politica dell’abolizione delle tasse scolastiche. Tra il 2000 e il 2007, secondo i dati dell’UNESCO, la frequenza di bambini nelle scuole primarie in Africa subsahariana è stata circa il 42 per cento, la più alta in tutto il mondo. Il risultato più evidente dell’attuazione di questa politica è stato l’aumento della frequenza di bambini nelle scuole, che da 58 per cento è passato a 74 per cento.

Tuttavia, pochi sono gli stati che potranno vantare il raggiungimento dell’obiettivo “Istruzione per tutti”, entro il 2015. Tra questi figurano il Capo Verde, il Togo, il Botswana e le Mauritius. Le statistiche dimostrano che ancora oggi la situazione scolastica in Africa è critica: nel 2007, quasi metà dei 72 milioni di bambini analfabeti erano africani. A questo si è aggiunta la situazione di crisi globale e altri fattori di vulnerabilità, che hanno contribuito al peggioramento della già precaria situazione dei paesi africani.

Eliminare le tasse scolastiche non basta. Recenti studi curati dall’UNICEF[2] dimostrano che le nuove riforme del settore dell’istruzione proposte potranno assicurare la diminuzione del divario esistente tra aspetti positivi e negativi in termini di istruzione di base. A questo proposito appare significativo l’esempio del Kenya, che negli ultimi dieci anni ha messo in atto alcune importanti riforme ed ha ottenuto risultati positivi. In questo paese, in seguito alle elezioni politiche del 2002 che hanno visto vincitore Mwai Kabaki, importanti strategie sono state adottate. Tra di esse:

1-      Il coinvolgimento di genitori, professori e responsabili delle scuole;

2-      Fund rising, ovvero ricerca di finanziamenti

3-      L’aumento del budget nazionale per l’istruzione, che da 703 milioni di dollari nel 2001/02 è passato a 950 milioni di dollari nel 2003/04

4-      Gli incentivi diretti agli studenti, ovvero erogazione di borse di studio da parte del governo direttamente agli studenti senza passare attraverso il Ministero dell’Istruzione

5-      La formazione di professori, manager e gestori

Nel 2004 il Kenya ha raggiunto, per quanto riguarda il rapporto professori/alunni,1 professore per ogni 40 alunni. In relazione ai testi scolastici, si è raggiunto l’obiettivo di 1 libro per ogni 3 alunni, un traguardo importante soprattutto se si considerano i contesti rurali. Tra il 2002 e il 2005, il livello scolastico dei bambini keniani è migliorato nei 14 dei 21 distretti più poveri del paese. Questo risultato è stato possibile grazie alle nuove riforme e anche soprattutto all’eliminazione delle tasse scolastiche.

L’accesso all’istruzione di base nei paesi africani è stata una forma di rivendicazione e di riscatto fin dall’epoca della lotta per l’indipendenza. I nuovi stati africani incentivarono l’istruzione e la formazione nei primi anni, dando quasi sempre priorità ai finanziamenti per le scuole e per gli istituti di formazione professionale. Tuttavia, la carenza e la non adeguatezza dei finanziamenti e della formazione di personale docente e amministrativo ha ostacolato, nel corso degli anni, lo sviluppo di questo settore. Inoltre, le politiche di austerità che caratterizzarono l’inizio degli anni Ottanta (Piani di aggiustamento strutturale), imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale per risanare i conti pubblici, ebbero come una delle principali conseguenze la riduzione drastica del budget nel settore della pubblica istruzione. In questi anni, le tasse scolastiche hanno impegnato circa il 25 per cento della disponibilità finanziaria delle famiglie africane più disagiate.

Oggi, le disparità economiche e sociali in molti paesi dell’Africa subsahariana persistono ancora: risorse inadeguate e mancanza di responsabilità di governo. La stabilità politica e la presenza di istituzioni “democratiche” restano una sfida. Il continente africano ha realizzato progressi  importanti tra il 1999 e il 2002. È stato fondamentale in questo processo il coinvolgimento delle popolazioni, delle società civili e delle leadership africane. Nuove istituzioni, nuove riforme e nuovi valori sono stati introdotti in un continente immenso e diverso. Inoltre, la situazione scolastica è migliorata, risultati positivi per quanto riguarda la malaria e la diffusione dell’HIV/AIDS sono stati conseguiti (da 12,5 milioni di bambini morti per AIDS nel 1990, si è passato a 8,8 milioni nel 2008), il numero di persone che ha ricevuto la terapia antiretrovirale tra il 2003 e il 2008 è cresciuto (da 400.000 a 4 milioni di persone, che corrisponde a 42 percento degli 8,8 milioni di persone che hanno bisogno di questo tipo di terapia), il consumo dell’acqua potabile è aumentato nelle aree rurali e i livelli allarmanti del fenomeno della deforestazione sembra siano rallentati[3].

Certo è che il non raggiungimento degli ODM entro il 2015 sarebbe, secondo il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, “inaccettabile, sia dal punto di vista morale che dal punto di vista pratico”. Una sconfitta in questo senso significherebbe l’aumento dell’instabilità e della violenza nelle regioni africane “a rischio”, l’aumento delle epidemie e delle pandemie, l’aumento demografico incontrollato e la proliferazione del degrado ambientale.

Tuttavia, ciò che emerge nel 2010 è un’Africa che ancora non riesce a vincere la lotta per lo sviluppo e ci si chiede il perché. Le istituzioni africane sono ancora molto giovani e poco consolidate. La via della “democrazia”, retta da un sistema che dovrebbe garantire il multipartitismo non trova basi su cui appoggiarsi. I paesi africani vogliono progredire e migliorarsi, ma prima di scegliere il sistema politico più adatto dovranno garantire alle proprie popolazioni l’istruzione e il benessere economico e sociale, rendendo protagonisti dello sviluppo gli stessi africani. Solo allora sarà possibile prediligere il sistema politico che più risponderà alle necessità e ai bisogni dei popoli d’Africa.

PATRICIA GOMES, CSAS- Centro Studi Africani in Sardegna

Fonte e foto: Unicef


[1] Gli ODM sono un insieme di otto misure concrete (sradicare la povertà estrema e la fame; garantire l’educazione primaria universale; promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo) adottate dai capi di stato e di governo nel 2000 durante l’Assemblea Generale dell’ONU, volti a migliorare  la condizione di povertà estrema che ancora oggi colpisce i paesi in via di sviluppo.

[2] “Abolishing school fees in Africa: lessons from Ethiopia, Ghana, Kenya, Malawi and Mozambique”, World Bank, 2009.

[3] Vedasi il Rapporto Annuale delle Nazioni Unite del 2010 sugli ODM.