Il cinque marzo scorso è uscita la prima parte del controverso documentario Kony 2012, a cui fa seguito a distanza di un mese esatto la seconda parte, della durata di circa venti minuti. Al giorno d’oggi Kony 2012 ha raggiunto un numero impressionante di visite, circa 104 milioni, di cui 70 milioni solo nella prima settimana di pubblicazione. Diretto da Jason Russell, fondatore della Invisible Childern, Inc, questo documentario propone di arrestare Josep Kony per i crimini commessi alla guida del Lord Resistence Army in Nord Uganda dal 1988 ai giorni nostri.
Come il pregevole articolo di Isabella Soi per Affrica ha mostrato, il primo documentario è stato oggetto di aspre critiche. Russel è stato accusato di voler far diventare Kony famoso per diventare egli stesso celebre, presentandosi come l’ennesimo salvatore bianco dell’Africa. Il governo ugandese ha ufficialmente dichiarato di essere contro il filmato perchè scoraggia investitori esteri. Alcune critiche hanno sostenuto che l’LRA non esiste più o avrebbe perso la sua influenza dal 2006 e che Joseph Kony non si troverebbe neppure più nel paese. Il video è stato anche accusato di voler supportare l’esercito ugandese e l’attuale presidente, Yoweri Museveni, in carica da 26 anni con il beneplacito degli Stati Uniti, benché egli sia responsabile di numerosi e gravi crimini contro la popolazione. Molti hanno inoltre denunciato l’aspetto propagandistico dell’operazione Kony 2012 e il suo carattere pubblicitario: comprando braccialetti e poster che vengono spediti da un capo all’altro del pianeta, si arricchiscono le casse di un’organizzazione poco trasparente, a cui Charity Navigator ha dato due stelle di credibilità su quattro.
Inoltre, Alex Jones ha sostenuto che questo video rientra all’interno di un possibile piano per sostenere l’attacco militare americano all’Uganda, in cui di recente sono stati ritrovati massicci giacimenti petroliferi. In particolare, come è stato ricordato da Jon Meacham, Charlie Savage e David Rohde, l’amministrazione Obama ha espanso l’autorità presidenziale nella politica estera, approvando l’attacco alla Libia e l’utilizzo di aereomobili a pilotaggio remoto senza l’approvazione del consiglio. A tal proposito è significativo ricordare che uno dei simboli della campagna raffigura l’accordo tra democratici e repubblicani per ‘la pace’. Le critiche più interessanti sono state tuttavia quelle di alcuni intellettuali ugandesi che, lungi dall’essere invisibili, hanno identificato nella malattia epidemica del ‘nodding disease’ e nell’acquisizione delle terre da parte di potenze straniere problemi assai più preoccupanti di Joseph Kony per l’Uganda.
Riconoscendo di aver voluto parlare in maniera semplice e diretta al suo pubblico nel primo documentario, in una recente intervista Russel aveva dichiarato di voler esprimere con maggiore chiarezza gli obiettivi del suo progetto nella seconda parte. Ebbene, se questo era davvero l’obiettivo, non è stato raggiunto. In questo lavoro, Russel non ha più il ruolo di narratore e attore protagonista, forse in seguito al recente arresto per essersi masturbato in pubblico ed aver commesso atti vandalici. In questa seconda parte si possono ascoltare le voci di alcuni ugandesi, le cui presenze nel primo documentario erano spesso limitate ad immagini strappalacrime, commentate dalla voce paternalista di Russel. Inoltre, Invisible Inc. è presentata come un’organizzazione plurale, senza leaders, in cui ‘noi’ siamo i protagonisti. Invece di inneggiare direttamente ad una lotta al signore della guerra attraverso l’intervento dell’esercito americano, questo nuovo video propone di proteggere i civili e di far arrendere Kony pacificamente.
Il progetto di Kony 2012 resta tuttavia assai controverso. Anche la seconda parte del documentario si propone di far leva più sulle emozioni che sui pensieri degli spettatori, negando una risposta alle numerose questioni soprelencate. Il pubblico ideale a cui Russel si rivolge sembra avere il medesimo grado di consapevolezza politica del figlio di cinque anni a cui egli si rivolge nel primo documentario. Un pubblico pigro, che fagocita acriticamente un materiale audiovisivo di indubbia pregevole fattura. Un pubblico che si lascia abbindolare dal tono messianico di Russel e del narratore del secondo video, Ben Keesey, un attivista di Invisible Children ‘convertito’ da Russel stesso, e dai loro inviti ad agire ora prendendosi una responsabilità collettiva per le sorti del pianeta.
In particolare, all’inizio di questa seconda parte viene rinnovato l’invito a fare la storia invece di leggerla nei libri. Ma qual è il concetto di storia proposto da questi video? Anzitutto è una storia fatta da celebrità: i ‘buoni’, vale a dire i politici e i personaggi influenti dello spettacolo negli Stati Uniti da un lato (tra cui figura anche G. W. Bush), e il ‘cattivo’ dall’altro. Come nelle fiabe, quest’ultimo è un ‘uomo nero’ senza alcun obiettivo se non quello di uccidere i bambini e renderli schiavi. Inoltre Kony viene paragonato a Hitler, appiattendo la dimensione storica alla propaganda. Una propaganda forcaiola che invita a cercare soluzioni veloci e violente, a portata di clic. E non è un caso che tra i vip ‘buoni’ compaiano note celebrità holliwoodiane: Kony 2012 presenta la storia esattamente come uno di quei film il cui obiettivo è quello di intrattenere gli spettatori e tenerli incollati al teleschermo.
In secondo luogo, il documentario diventa un momento per riscrivere la storia americana recente. Per esempio, la seconda parte del documentario sostiene che l’attacco militare in Uganda sarebbe il primo attacco messo in atto non per autodifesa ma perchè la gente lo chiede. L’attenzione del documentario è posta escusivamente su Kony, ignorando il contesto geopolitico e la storia ugandese. In Kony 2012, il resto del pianeta non esiste al di là dell’Uganda in cui vivono le vittime e del Nord America, in cui abitano coloro che possono salvarle. Il documentario ed il suo seguito celebrano la nostra epoca, in cui siamo tutti connessi ad internet, dimenticando che gli utenti internet sono un terzo della popolazione globale.
Credo sia tuttavia sbagliato, come sostiene David Rieff, considerare Russel semplicemente un ingenuo e un provinciale. La rapida diffusione di Kony 2012 del documentario ha mostrato il potere sovranazionale dei social network e dei siti di video sharing di poter diffondere qualunque tipo di informazione in poche ore a livello globale. In particolare, Kony 2012 sembra confondere ciò che è reale e ciò che esiste perchè viene narrato su Facebook (questo è il primo video a utilizzare e lanciare timeline, il nuovo portale del colosso dei social network), suggerendo un coinvolgimento diretto di alcune di queste realtà commerciali nella realizzazione del filmato. Visto da questa angolatura Kony 2012 appare come una prova di forza di Facebook nei confronti degli altri media e dei governi nazionali. É forse questo l’aspetto più inquietante della diffusione di questo video sui social network: milioni di utenti su internet hanno scelto liberamente di supportare questa campagna dai dubbi contenuti e di farne circolare i filmati.
L’ultimo appuntamento di Kony 2012 è previsto per il 20 aprile, in cui i supporters del progetto dovranno tappezzare le città di manifesti realizzati da Shepard Fairey, lo stesso designer della campagna presidenziale a favore di Obama. Va notato che 4.20 è una data cara ai consumatori di cannabis negli Stati Uniti, in quanto è l’espressione utilizzata per denominare lo spinello. Questo riferimento alla controcultura è funzionale a proporre un messaggio falsamente libertario e alternativo. Inoltre, il venti aprile è la data di nascita di Hitler, più volte evocato nel primo video.
‘Libertà è partecipazione’, cantava Gaber in una nota canzone del 1972. Se si può trarre una lezione dalla vicenda Kony 2012 è che forse la libertà non sta nella partecipazione, ma piuttosto nella capacità di sapere decifrare le informazioni, anche quelle ingannevoli, che si trovano in rete.
SIMONE BRIONI è un dottorando e insegna presso l’Università di Warwick. Si occupa di letteratura post-coloniale e della migrazione italiana. Ha diretto i documentari ‘La quarta via’ e ‘Aulo’ (REDigital 2011), che riguardano il colonialismo italiano rispettivamente in Somalia ed Eritrea.