Mubarak steps down

Posted on 14 Feb 2011


L’attimo trascorso tra la fine del discorso del Vice presidente Omar Soliman e la gioia esplosa per le strade d’Egitto è quasi impercettibile, “Mubarak steps down” è la scritta comparsa immediatamente su tutte le televisioni internazionali. Mubarak ha lasciato la carica di Presidente della Repubblica ed è scappato dal Cairo, non c’è tempo per essere increduli, per ora si è felici.

L’annuncio arriva alle 18:00, dopo un’altra giornata di grandi manifestazioni, forse la più grande; giornata in cui centinaia di migliaia di manifestanti si erano riuniti non più solo in piazza Tahrir, ma anche sotto il palazzo della televisione di stato e il palazzo presidenziale; quest’ultimo a 15 km dalla piazza, raggiunto dai manifestanti con un unico grande corteo, una linea continua di donne e uomini.

Ancora una volta il popolo egiziano ha dimostrato la sua grande civiltà, non c’è stato un attimo di violenza, nè di scontri, solo canti, danze e tanta rabbia dopo il discorso della sera precedente. I carri armati che presidiavano il palazzo del presidente, hanno mosso i loro cannoni puntati da 2 settimane in direzione della folla muovendoli verso il palazzo, un gesto che aveva tutto il significato di una presa di posizione, chiara e determinata, non come nei giorni scorsi. La gente ha riempito con fiori i cannoni di questi carri blindati, ripetendo un gesto che da oltre 40 anni percorre le strade di tutto il mondo e i ragazzi che li occupavano, non meno commossi dei ragazzi che erano in strada a manifestare, hanno risposto esponendo le foto dei giovani morti nei giorni precedenti e intonando cori, per un attimo imbarazzati di portare quell’arma e quella divisa. 

L’annuncio delle dimissioni del presidente è arrivato inatteso, c’era nell’aria da giorni, ma dopo il discorso della sera precedente nessuno si aspettava questa svolta. Politicamente il discorso di Mubarak del 10 febbraio è ciò che di più sbagliato potesse essere fatto, dopo una giornata di manifestazioni, con gli operai di molte aziende ormai in sciopero e con i militari che annunciavano una buona notizia arrivata entro la serata, il popolo egiziano aspettava soltanto l’annuncio ufficiale, vedere il vecchio Rais che in maniera arrogante si presenta come il padre della nazione ha solo riempito di collera la gente, che ha mostrato verso il volto del Rais le scarpe, in uno dei gesti più offensivi per il mondo arabo.

L’ultimo discorso del presidente poteva essere soltanto motivato come il tentativo dell’esercito di spingere la folla ancora oltre, di avere il completo sostegno popolare in quello che può essere definito un golpe popolare. Sono stati ciechi Mubarak e il suo Vice, altro grande sconfitto di questa rivoluzione, a non capire che il momento di abbandonare il campo di battaglia era molto prima, quando ancora si potesse immaginare una successione politica.

Non vogliamo certo affermare che un eventuale governo guidato da Soliman sarebbe stata una buona soluzione, anzi tutt’altro, avrebbe rappresentato una chiara continuità col vecchio, ma in quanto ad intelligenza politica il vice presidente ha dimostrato tutta la sua piccolezza.

Toccherà ora all’esercito guidare la transizione, fino alle elezioni presidenziali che si terranno molto probabilmente ad ottobre, come previsto; chi si presenterà alle elezioni ancora non è certo e soltanto nei prossimi giorni sarà più chiaro. Forse Amr Moussa, ex ministro degli esteri e attuale presidente della Lega Araba, poco probabile che sia El Baradei, comunque non molto amato dal popolo, o l’attuale Ministro della difesa Tantawi, capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate e visto di buon occhio anche dagli Stati Uniti, quello che è certo, nelle parole dei giovani, è che il popolo di piazza Tahrir non dimenticherà troppo presto quello che è stato in grado di fare.

Il passaggio di testimone all’esercito ha comunque preoccupato molti, soprattutto fuori dall’Egitto; la paura di una dittatura militare sembrerebbe essere dietro l’angolo. Bisogna però sottolineare il ruolo che le forze armate hanno nei paesi arabi: difensori dei confini nazionali, in un territorio con una tensione altissima; difensori dell’orgoglio della nazione e eroi nelle guerre passate contro Israele; difensori del popolo e garanti della Costituzione. Inoltre in un paese come l’Egitto i vertici dell’esercito si occupano abitualmente parte della gestione del potere politico, sia interno sia in relazione agli altri paesi; sicuramente altra importante considerazione viene dal fatto che i militari non vorranno certamente perdere il grande rispetto e la grande considerazione che il popolo ha di loro. Mescolando tutto questo si potrebbe avere una pacifica transizione, fino alle elezioni, dove se da un lato i militari imporranno stretti controlli sulla vita quotidiana dall’altro concederanno diverse libertà molto più facilmente.

Quel che è chiaro è che ieri sera l’emozione per le strade del Cairo è stata grande, “c’è tutto l’Egitto” ha detto qualcuno, di sicuro c’è l’Egitto che ha voluto il cambiamento, il popolo che ha riconquistato il paese, l’Egitto che stamattina mandava sms con scritto “I am free Egyptian”, i giovani che hanno alzato la testa.

I giornali stamattina titolavano: “Good morning Revolution”.

 

GIOVANNI DEL  SORBO,  laureato in Relazioni e Politiche Internazionali all’Università L’Orientale di Napoli

 Articolo pubblicato su Diritto di Critica il 12 febbraio 2011