Omosessualità e omofobia in Africa

Posted on 15 Giu 2012


Questa foto, scattata in una delle vie più frequentate di Addis Abeba, potrebbe essere una bella immagine di due uomini che si amano, e che sono liberi di manifestare il proprio affetto pubblicamente. Ma purtroppo non è come sembra.

Tenersi per mano è un gesto molto frequente tra gli uomini etiopi (e africani in generale), ma significa solo che i due sono buoni amici. L’omosessualità è un reato, in Etiopia così come in molti altri paesi africani, e nessuno si lascerebbe andare a comportamenti “equivoci” in pubblico. La cartina sulla destra mostra chiaramente la drammaticità della situazione per gli omosessuali nel continente africano. Le varie sfumature di arancione-rosso identificano gli stati dove l’omosessualità è un reato, e l’intensità del colore indica la gravità della pena, che può arrivare sino all’ergastolo (arancione scuro) e in alcuni casi addirittura alla pena di morte (rosso scuro). Il colore azzurro – decisamente minoritario – è usato invece per indicare i luoghi dove sono riconosciuti dei diritti agli omosessuali, dalle unioni civili al vero e proprio matrimonio (quest’ultimo solo in Sudafrica).

Uno degli argomenti più frequentemente usati nella propaganda anti-gay africana è che l’omosessualità sarebbe un fenomeno “importato” dall’Occidente, contrario ad una supposta tradizione di virilità africana, una teoria che non sembra avere alcun riscontro scientifico. A questo tipo di discorsi si sovrappongono frequentemente ragionamenti omofobi portati avanti da numerose confessioni religiose, questo non solo in Africa. Questo tipo di tesi omofobe si possono trovare, tra gli altri, in un libello, scritto pochi anni fa da un arcivescovo della Chiesa Ortodossa Etiope, Abba Samuel, intitolato “Sodomites and the wage of sin” (“I sodomiti e il salario del peccato”), titolo che fa riferimento ad un passo della Bibbia (“il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna”, Romani 6:23). Tra i vari argomenti esposti dall’autore, la tesi che l’omosessualità sarebbe addirittura la causa della decadenza del mondo moderno. Il libro è curiosamente scritto in lingua inglese, come se il pubblico di riferimento non fossero i fedeli etiopi, che parlano amarico, ma gli occidentali accusati di aver agevolato la diffusione del “peccato”.

Non mancano poi alcuni esempi che hanno avuto rilevanza internazionale. Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia e premio Nobel per la pace 2011, si è recentemente distinta per aver dichiarato, in un dibattito con Tony Blair di non aver alcuna intenzione di depenalizzare l’omosessualità nel suo paese.

Andando più indietro nel tempo, sempre queste pagine, vi avevamo parlato del caso di una coppia di cittadini gay del Malawi, prima condannati al carcere e poi graziati su pressione della comunità internazionale.

Lo scorso anno, in Uganda, il parlamento arrivò vicino all’approvazione di una legge che avrebbe reso possibile comminare anche la pena di morte in alcuni casi di “omosessualità aggravata” (sic), come per esempio in caso di sieropositività, o di “corruzione” di minori. Detto per inciso, si tratta dello stesso regime che quelli di Invisible Children supportano contro il cattivissimo Kony – ma dato che l’ONG americana è legata alle chiese evangeliche, forse condividono lo stesso punto di vista sui gay. Anche in questo caso, il ruolo dell’opinione pubblica internazionale è stato importantissimo per evitare l’approvazione del disegno di legge contro glo omosessuali, che tuttavia è stato recentemente riproposto, senza però prevedere più la pena di morte.

Questi esempi mostrano, tra l’altro, come l’attivismo globale possa giocare un ruolo fondamentale nel promuovere i diritti umani – degli omosessuali così come di altri gruppi discriminati – anche in paesi dove la libertà di parola non è sempre garantita. In un mese, quello di giugno, tradizionalmente dedicato a manifestazioni come i Gay pride, è importante ricordarsi di dare voce anche a chi è ancora costretto a nascondersi.

ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna