Un impegno per le donne africane: la messa al bando delle MGF

Posted on 8 Mar 2012


Dato che questo post viene pubblicato il giorno della Festa della Donna, merita una doverosa premessa. Chi mi conosce sa che non amo questa ricorrenza, o meglio, più in generale, non amo le ricorrenze che vengono ridotte a vuoti proclami, cartoline d’auguri, occasioni per smerciare simboli.  Le pari opportunità non si raggiungono regalando una mimosa e accettando che le ragazze vadano a far baldoria una sera l’anno. Serve un lavoro di rinnovamento più profondo, tutti i giorni. Ed è proprio per questo motivo che non mi disturba scrivere un post sui diritti delle donne quest’otto marzo: in questo caso, infatti, si tratta del culmine di una campagna che va avanti da anni, quella per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili (MGF), particolarmente diffuse nel continente africano.

Le MGF sono “tutti quegli interventi eseguiti non per ragioni terapeutiche e che comportano la rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili”, e comprendono pertanto varie pratiche, per esempio l’asportazione del solo clitoride (clitoridectomia), o vera e propria infibulazione, che prevede la rimozione di clitoride, grandi e piccole labbra, e la cucitura della vulva. Lo scopo ultimo è comunque sempre quello di impedire alla donna di provare piacere sessuale, e limitando così il rischio di infedeltà. Col tempo, tuttavia, a questa fondamentale motivazione si sono aggiunte tutta una serie di credenze, per cui in molte comunità si ritiene che tali mutilazioni siano imposte dalla propria religione (mentre né la Bibbia, né il Corano le prevedono), o comunque necessarie a garantire la “purezza”. Una donna “integra”, al contrario, può subire pesanti discriminazioni.  Questo spiega come mai siano spesso delle donne che hanno subito delle MGF ad imporre o addirittura materialmente infliggere lo stesso trattamento alle proprie bambine. Molte di queste dinamiche sono efficacemente descritte nel pluripremiato film Mooladé, del quale consigliamo la visione.

Le MGF costituiscono anche un grave problema di salute pubblica. Queste pratiche, infatti, vengono spesso eseguite con materiale non sterile, e da persone prive di conoscenze mediche. Complicazioni, infezioni, nonché trasmissione del virus dell’HIV sono all’ordine del giorno, e possono avere anche conseguenze mortali. Tuttavia, anche se eseguite da chirurghi esperti in moderne sale operatorie con bisturi usa-e-getta (come in alcuni casi di fatto avviene), le MGF sono comunque da condannare in quanto violazione dei diritti umani delle donne. Per quanto le MGF vengano talvolta associate alla circoncisione maschile – c’è anche chi parla di “circoncisione femminile” – ciò è fuorviante in quanto si tratta di due pratiche completamente distinte. La circoncisione maschile, infatti, non impedisce né provoca dolore durante l’amplesso, e permette dunque di condurre una vita normale. Le MGF, invece, rendono i rapporti sessuali una tale tortura che una donna non desidererà mai averne, e si limiterà a concedersi (più che altro per senso del dovere) al proprio marito o ad essere abusata, senza cercare attivamente altri partner.

Fortunatamente, ci sono associazioni come Non c’è Pace Senza Giustizia che portano avanti da anni campagne per la messa al bando delle MGF. Allo stato attuale, l’obiettivo è quello di ottenere entro il 2012 una risoluzione di messa al bando universale delle MGF da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, sulla scorta di quanto avvenuto per la pena di morte negli anni passati. Per quanto tali risoluzioni non siano vincolanti, esse hanno comunque un altissimo valore morale e politico, e possono di fatto contribuire alla riduzione di tali pratiche (è quanto sta avvenendo con la pena di morte, seppure ancora legale in numerosi paesi). L’Italia, così come nel caso della campagna contro la pena di morte, ha assunto un ruolo particolarmente positivo nella lotta alle MGF. Proprio in questi giorni, la questione è discussa anche nell’ambito dalla a 56° Sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo Status delle Donne, in corso a New York. Il 27 febbraio scorso si è tenuto un evento parallelo dedicato alla messa al bando delle MGF, presieduto da due italiane, la vicepresidente del Senato Emma Bonino (in qualità di rappresentante di Non c’è Pace Senza Giustizia) e Miriam Lamizana del Comitato Interafricano sulle Pratiche Tradizionali. La campagna, inoltre, è sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri.

ANNALISA ADDIS, CSAS – Centro Studi Africani in Sardegna

Per approfondire: Campagna Ban FGM e Non c’è pace senza giustizia, dove è possibile anche firmare una petizione online.