Una separazione complicata: l’impasse sudanese

Posted on 25 Gen 2013


Le pratiche di divorzio tra Sudan e Sud Sudan – ufficialmente separati dal 9 luglio 2011 – continuano a trascinarsi inesorabilmente: sabato 19 gennaio è stato annunciato l’ennesimo, prevedibile fallimento. Il processo di mediazione, soprattutto quello dell’AUHIP – il panel di esperti dell’Unione Africana, continua tenacemente, ma le trattative finiscono spesso in un nulla di fatto, o nel migliore dei casi con qualche vago accordo e relativa nuova commissione incaricata di sorvegliarne l’improbabile attuazione.

La vicenda sudanese è lunga e intricata: il Sudan è stato il più grande Paese africano dal 1956 al 2011, la cui enorme debolezza – sin dall’800, quando per la prima volta raggiunse tali dimensioni – è sempre stata quella di non trovare un equilibrio tra lo strapotere del centro, in mano alle élite rivierasche della capitale (Khartoum), e il resto della nazione. La schematizzazione nord-musulmano contro sud-cristiano, già di suo molto limitata, non è applicabile, dato che alcune delle regioni bistrattate si trovano a ovest (Darfur)  o ad est (Beja) e sono abitate da popolazioni musulmane. La guerra civile tra il governo centrale e i ribelli del sud è durata cinquant’anni, dall’indipendenza al 2005: l’accordo di pace ha permesso lo svolgersi del referendum per l’autodeterminazione, in cui il 98,83 % dei votanti si è espresso a favore della secessione, festeggiata in grande stile per le strade della capitale Juba.

La (nuova) serie di accordi firmati dalle Parti nel settembre 2012 non ha ancora avuto seguito. Di particolare rilevanza è l’accordo sul trasferimento del petrolio dai pozzi del Sud Sudan attraverso gli oleodotti sudanesi: la produzione, bloccata a gennaio scorso per divergenze sulle imposte di passaggio, non è ancora ripartita a causa della mancata attuazione di alcune misure di sicurezza. La situazione è particolarmente delicata: da una parte, il neonato Stato – letteralmente tutto da costruire – ha ereditato circa tre quarti delle risorse petrolifere sudanesi, che al luglio 2011 costituivano ben il 98% del suo PIL; dall’altra, il Sudan ha perso un’enorme parte delle sue entrate ed è strozzato dai debiti.

Le misure di sicurezza a cui ci si riferisce sono principalmente due: la prima riguarda il sostegno reciproco ai gruppi ribelli operanti nel territorio dell’altro, la seconda l’istituzione di una zona demilitarizzata lungo il confine.

Il Sudan, infatti, accusa Juba di non aver tagliato legami con il gruppo Sudan’s People Liberation Movemement- North (SPLM-North), un tempo sua fazione nel Sud Kordofan e nel Nilo Blu (Sudan), dove il conflitto è oggi ai livelli drammatici. Omar al Bashir, presidente del Sudan, teme che i ricavi derivati dalla vendita del petrolio possano essere utilizzati per finanziari i ribelli; dall’altra, il suo corrispettivo sud sudanese Salva Kiir nega in toto rispedendo le accuse al mittente.

La creazione di una zona demilitarizzata era stata decisa già nel dicembre del 2010 e rivista a giugno del 2011: prevede che gli eserciti si riposizionino ad almeno 10 km a sud e a nord della linea di confine, consentendo così la creazione di una zona cuscinetto di 20 km, al fine di evitare scontri e dare respiro alle negoziazioni. Tuttavia, non c’è accordo su quale sia la linea che debba fare da spartiacque, dato che i confini internazionali non sono ancora stati determinati. Questi, in base all’accordo di pace del 2005, dovrebbero coincidere con quelli amministrativi al 1 gennaio 1956: i risultati della commissione incaricata di individuarli sono stati contestati dalle Parti e quindi circa il 20% delle frontiere è ancora oggetto di rivendicazioni. Sarà un processo lunghissimo, che non potrà ostinatamente basarsi su vecchie mappe ma dovrà risolversi in un compromesso tra le esigenze politiche attuali e un minuzioso studio dei documenti amministrativi dell’epoca.

Infine, il cuore simbolico e fisico del dilemma sudanese è costituito da Abyei: considerata il ponte tra nord e sud, la regione ha un passato travagliato e un futuro poco incoraggiante. Zona fertile, ospita permanentemente i Dinka del Sud Sudan e stagionalmente i pastori arabi nomadi dei Missiriya: nel 2011 si sarebbe dovuto svolgere un referendum parallelo per decidere l’appartenenza dell’area a una parte o all’altra del Paese, ma non si è ancora riuscito a raggiungere un accordo sui criteri di selezione dei votanti. Più precisamente, vi è un contenzioso sull’eventuale partecipazione dei nomadi Missiriya, come vorrebbe il Sudan, poiché trascorrono solo la stagione secca sul territorio. L’area è oggi sotto il controllo dei caschi blu dell’UNISFA, in attesa di una soluzione che non sembra essere vicina. Il Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione Africana sta seguendo da vicino la questione, esercitando continue pressioni sulle Parti pur evitando rigide prese di posizione. L’ipotesi di un deferimento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU non appare come una possibilità concreta, sia per l’esplicita contrarietà del Sudan, sia per mantenere l’africanità del processo di pace. Lo stallo è quindi quasi totale.

Vi sono chiaramente molti altri aspetti non richiamati, come la questione della cittadinanza o la spartizione del debito pubblico, che complicano ulteriormente il processo di separazione. Le Parti non riescono ad uscire dallo schema conflittuale che le ha contrapposte per generazioni, continuando a rimandare decisioni definitive con la speranza di avere maggiore potere negoziale all’incontro successivo. In questa generale situazione di incertezza, vi è la massima priorità di far ripartire le esportazioni di petrolio per dare ossigeno alle economie. In secondo luogo, è essenziale che entrambi i Paesi cerchino un dialogo con i ribelli nel proprio territorio e blocchino i rifornimenti ai ribelli nel territorio del vicino. In particolare, si deve rendere immediato l’accesso degli aiuti umanitari negli Stati martoriati del Sud Kordofan e nel Nilo Blu. Infine, bisogna velocizzare l’istituzione della zona demilitarizzata, disincoraggiando così l’occupazione del territorio come criterio per la determinazione dei confini.  Come ha detto Alex De Waal, uno dei massimi esperti sulla questione, nel corso di questo 2013 Sudan e Sud Sudan dovranno scegliere insieme il loro destino, se risalire verso la normalità e la stabilità o scivolare ancora più in basso, da dove sarà sempre più difficile rialzarsi.

GUJA LUCHESCHI Laureata in Politica Internazionale e Diplomazia con una tesi sulla secessione del Sud Sudan, lavora a Bruxelles nel campo dell’euro-progettazione, in attesa di una buona occasione per partire.